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C’era una volta …

Nessuna scienza può essere degnamente compresa senza la sua storia essenziale”.

Citazione di Auguste Comte, 1798-1857, filosofo francese considerato il fondatore del Positivismo e della moderna sociologia.

Se questa fosse una favola potrebbe fare così: “Siamo sul finire dell’800 ed in circolo vi sono dei bulbi di vetro con all’interno un filamento incandescente in cui sono stati iniettati dei reagenti chimici per migliorare il vuoto all’interno. Sono poco più che lampadine che derivano dagli esperimenti di Thomas Alva Edison. Ma nel 1904 l’ingegnere inglese John Ambrose Fleming li perfeziona usando un filamento di carbonio come elettrodo incandescente e una placca di metallo come elettrodo freddo. Nasce la “valvola termoionica”. Riesce a far transitare la corrente elettrica in una sola direzione e quindi viene chiamata anche “rettificatrice”, ma il mondo delle radiocomunicazioni inizia ad apprezzarla per la sua capacità di rivelare la modulazione in un’onda ad alta frequenza. Gli amici la chiamavano semplicemente DIODO (da “double electrode”) perché ha due elettrodi). Subito si capì che era un vero fenomeno tecnologico perché rivelava l’alta frequenza modulata molto meglio dei suoi cugini coetanei, i cristalli e i coherer, impiegati nei primi ricevitori radio di quegli anni. Fu il primo pratico tubo per le radio. Il diodo termoionico diventerà il papà del TRIODO e suo figlio darà un impulso fenomenale alle radiocomunicazioni perché permetterà l’AMPLIFICAZIONE DEI SEGNALI. E da allora, vissero tutti felici e contenti…”

Abbiamo mai avuto la curiosità di capire come si trasmetteva e si riceveva agli inizi delle trasmissioni radio, anzi agli inizi delle “comunicazioni senza fili” o “wireless communication” come le chiamavano gli anglosassoni, prima dell’invenzione delle valvole termoioniche? Dalla lettura di testi tecnici di oltre 100 anni fa (inizi del ‘900), mi è venuta l’idea di proporre per la nostra rubrica qualche considerazione tecno-storica sui trisavoli dei nostri moderni RTX e nello specifico portare in evidenza quale fantastica conseguenza per le radiocomunicazioni abbia comportato l’introduzione di una “griglia” in un diodo termoionico.

L’obiettivo della rubrica LO SAI CHE è sempre quello di trattare un argomento di possibile interesse soprattutto per chi è agli inizi nel cammino di OM e magari solleticare qualche voglia di approfondimento con letture e ricerche. Trattare di valvole, anche per gli OM neopatentati, non dovrebbe essere qualcosa del tutto sconosciuto, dato che tra gli argomenti del programma di esame per il conseguimento della patente di radioamatore trovo ancora menzionato proprio il “Dispositivo termoionico semplice – valvola” v. [rif. 1].

Per comprendere l’importanza dell’invenzione del diodo termoionico del 1904 che solo dopo qualche anno porterà alla invenzione del triodo, battezzato agli inizi “Audion” dal suo inventore l’americano Lee de Forest, ma soprattutto per comprendere cosa abbia significato per la radiotrasmissione il triodo, dobbiamo fare qualche passo agli inizi delle trasmissioni senza fili.

Iniziamo col dire che è difficile definire il momento esatto in cui sono nate le trasmissioni senza fili, dato che nell’800 e inizi ‘900 innumerevoli furono gli studi che portarono a comprendere l’esistenza dei campi elettromagnetici e molteplici erano le applicazioni pratiche e i brevetti.  Nel 1884 Rudolf Hertz riscrive le equazioni di Maxwell portandole da 20 a 12 e dimostra che non serve introdurre il concetto di “etere” come supporto alla propagazione delle onde elettromagnetiche. Sempre Hertz nel 1888 genera, trasmette nello spazio e riceve onde elettromagnetiche: possiamo dire che le trasmissioni senza fili sono più o meno nate in quel periodo. (rif. [2])

Ma se le valvole non erano ancora state inventate, allora come erano costituiti i primi trasmettitori dell’epoca per produrre oscillazioni da irradiare nello spazio per lo scambio di informazioni?

Intanto diciamo che l’informazione trasmessa e ricevuta “wireless” aveva come alfabeto quello dei punti-linea che verrà conosciuto come “alfabeto Morse”.

I primi TX erano basati sul concetto che una scintilla prodotta da due sfere elettricamente cariche genera onde elettromagnetiche e queste si propagano nello spazio (a quei tempi si pensava che esistesse l’“etere” come supporto per la propagazione elettromagnetica). Lo

schema base per generare scariche oscillanti è quello schematizzato nell’immagine a lato, [rif. 3]. Nella figura:

“s” è uno spinterometro, cioè un sistema costituito da 2 sfere mobili;

C è un condensatore che viene caricato ad una tensione adeguata perché si possano produrre scintille in “s”,

“S” è una bobina. Notare che l’induttanza è indicata con “S” anziché con il simbolo a noi noto di “L”. “S” stava per “self-inductance” e siamo negli anni 20 del ‘900 e spesso in letteratura d’epoca si trovano indicate solamente come “self”.

Ovviamente per le resistenze che dissipano l’energia accumulata in C, questo deve essere ricaricato opportunamente per poter generare onde e.m. che si ripetano nel tempo, altrimenti per il terzetto S-s-C genera solo poche onde smorzate (come nella figura).

Ecco, quindi, lo schema “di uno dei primi trasmettitori telegrafici a scintilla [rif. 4] e presentato come “ad uso del dilettante”: il tasto telegrafico apre e chiude il passaggio di corrente nel rocchetto di Rumkoff. Manipolando il tasto si “imprime l’informazione” al circuito che deve generare e trasmettere onde e.m.. Il rocchetto di Rumkoff è un tipo di trasformatore utilizzato per produrre impulsi ad alta tensione partendo da una sorgente di corrente continua a bassa tensione ed è collegato all’oscillatore a sfere. Il testo del libro dice anche che per aumentare la distanza a cui le onde e.m. si propagano è necessario collegare terra e antenna all’oscillatore, altrimenti la distanza percorsa dal segnale e.m. è di pochi metri.

Se questo era il TX per il dilettante, come trasmettitore per una stazione telegrafica professionale si suggeriva lo schema seguente [rif. 4], praticamente un QRO!

E’ simile al precedente, ma è presente l’elemento “V” che è un interruttore di Wehnelt, utilizzato per produrre le correnti intermittenti necessarie ad alimentare il primario di grosse bobine di induzione, aiutando, per così dire, il contatto presente nel tasto. Il condensatore C presente tra rocchetto di Rumkoff e oscillatore, con la sua carica, produce effetti di potenziamento delle scintille e quindi produce onde e.m. ad energia maggiore.

Sono solo due esempi degli antenati dei nostri TX: sul medesimo principio vi erano molte varianti migliorative. Volutamente non entro in nessun dettaglio per non appesantire la rubrica e per non ripetere quanto si può proficuamente leggere nei testi citati o in rete.

Se questi erano i primi trasmettitori senza fili, come era costituito un ricevitore “prima della invenzione delle valvole”?

Qui a lato lo schema di un primordiale RX [rif. 5 pag. 8]. Questa figura mi ha colpito soprattutto per il suo testo (che ho riquadrato in colore rosso) che dice “semplice circuito ricevitore per chi comincia, adatto alla ricezione di trasmettitori nelle vicinanze e che permette la pratica del codice telegrafico. Tutte le parti tranne la cuffia telefonica possono esserecostruite dallo sperimentatore”.

Ecco l’ham spirit: il radioamatore (in Italia erano chiamati “radio-dilettanti”) è incitato ad essere auto-costruttore delle sue apparecchiature! Il nostro Mountain QRP Club, per mantenere vivo l’ham-spirit ha proprio fra i suoi obiettivi “lo studio e la realizzazione di apparecchiature, accessori ed attrezzature utili alle trasmissioni radio…” – , come si può leggere al paragrafo 3.2 punto 2 del regolamento MQC.

Nello schema del tris-tris-nonno dei nostri RX troviamo:

L’antenna (inizialmente chiamata “aereo”)

Un circuito di sintonia (qui a sola induttanza variabile, successivamente saranno a L-C variabili e multistadio)

Un circuito di rilevazione della R.F , il demodulatore (“D”)

Un filtro passa-basso tipo RC Resistenza e Capacità (“C” è indicato, mentre la “R” era data dalle resistenze distribuite e proprie dei componenti)

un riproduttore audio (auricolare / cuffia, sempre ad alta impedenza, >1000 Ω)

Il cuore del circuito ricevente è ovviamente il demodulatore di radiofrequenza “D”. I primi erano dei “coesori”, in inglese “coherer”. Si trattava di un dispositivo costituito un tubetto di vetro con della polvere metallica inserita tra i due cilindri, inventato dall’italiano Temistocle Calzecchi Onesti. Funzionava solo come discriminatore della presenza o assenza di un onda a R.F.. Ma già questa semplice funzione permetteva di ricevere i segnali generati dal TX a scintilla che, come visto prima, tramite il tasto, generavano assenza-assenza di R.F. secondo un codice. La polvere metallica del coherer una volta che rivelata un’onda rimaneva polarizzata e si doveva scuoterla per mezzo di un martelletto per poter ricominciare il processo!

In seguito, i coherer vennero sostituiti dai più efficienti a rivelatori a cristallo che, a tutti gli effetti, furono i primi dispositivi a semiconduttore. Erano anche chiamati rivelatori a “baffo di gatto”: un cristallo di minerale, es. galena (solfuro di piombo) o carborundum (carburo di silicio) su cui appoggiava leggermente una punta di metallo. La zona di contatto fra cristallo e metallo lasciava passare la corrente più facilmente in un senso che nell’altro, costituendo quindi il primo elemento a semiconduttore. Sfruttando questa proprietà e collegando il cristallo tra circuito di sintonia ed auricolare, si otteneva l’effetto di demodulazione della R.F. Pertanto, si rettifica il segnale radio, convertendolo da corrente alternata a corrente continua in modo da poter estrarre il segnale audio (modulazione) dall’onda portante a radiofrequenza. L’auricolare era in genere un tipo di cristallo piezoelettrico, così sensibile che il ricevitore radio funziona utilizzando solo l’energia dall’onda radio ricevuta per pilotare l’auricolare.

Il diagramma a lato [rif. 5] evidenzia le 3 fasi della rivelazione di un segnale RF modulato:

segnale RF modulato presente dopo il circuito sintonizzatore. Notare che sono rappresentate oscillazioni periodiche ma smorzate, perché questo era il segnale generato dei trasmettitori a scintilla dell’epoca.

corrente oscillatoria ma unidirezionale presente dopo il demodulatore a cristallo. E’ un segnale con minimi e massimi ma solo nel quadrante positivo. In realtà vi è una minima tensione negativa a causa della curva di rettificazione del cristallo.

Segnale presente dopo il filtro passabasso: si elimina la componente a alta frequenza e rimangono le oscillazioni impresse nel TX dalla manipolazione del tasto. Questo segnale è quello che viene ascoltato.

Qui a fianco una immagine [rif. 6] relativa al sistema di supporto e regolazione meccanica di un rivelatore a carborundum.

Per renderci conto della sensibilità di un RX con rivelatore a carborundum, basta interpretare la curva della figura qui a fianco [rif. 6]. Per avere 3 mA di uscita serve un ingresso da circa 3 V. La curva è lineare da circa 1,5Vin a 3Vin. Sotto 1,5 Vin non c’è linearità. Diciamo che per ricevere gli impulsi generati da un TX a scintilla poteva anche andar bene.

Il DX all’epoca era difficile: l’auricolare funzionava con la sola energia propria del segnale ricevuto e che riusciva a passare attraverso il demodulatore. I primi auricolari erano di tipo piezoelettrico, quindi non assorbivano corrente ed erano sufficienti per riprodurre i “clik-clik” generati. Ecco perché i TX a scintilla commerciali avevano alte potenze: all’antenna ricevente doveva arrivare un segnale molto forte perché era solamente la sua energia che faceva funzionare il circuito ricevente.

Nel frattempo, la tecnologia dell’epoca, partendo dalle lampadine a filamento incandescente, sviluppava i primi diodi a valvola termoionica.

Edison nel 1879 pensò di inserire un filo da cucire carbonizzato, il filamento, all’interno di un bulbo di vetro trasparente da cui l’aria era stata rimossa mediante una pompa. In questo vuoto il filamento poteva brillare a temperature al calor bianco senza essere consumato dalla combustione dato che non vi era ossigeno. Continuando i suoi esperimenti, intorno al 1883 Edison inserì anche una striscia di metallo all’interno della sua lampadina. Tra questa striscia metallica e una delle connessioni del filamento collegò un amperometro sensibile. Scoprì che gli elettroni scorrevano attraverso lo strumento ogni volta che il filamento era caldo, ma si fermava quando il filamento si raffreddava. Il filamento al calor bianco nella lampada di Edison stava liberando gli elettroni liberi nel vuoto della lampada. Questi elettroni trovavano la loro strada verso la striscia metallica, attraversavano il galvanometro e tornavano al filamento. La corrente non era elevata (caso 1 della figura). Dato che gli elettroni, che hanno carica negativa, sono attratti da cariche positive, Edison collegò una batteria di tensione sufficientemente elevata da rendere positiva la “placca” metallica: l’effetto fu di incrementare la corrente che fluiva nell’amperometro (caso 2 della figura). Tuttavia, quando la batteria fu invertita di polarità non passò più corrente. Ciò su cui Edison si era imbattuto era il principio di funzionamento del diodo che permetteva il flusso di elettroni unidirezionale: questo tubo termoionico venne brevettato nel 1884, tuttavia Edison non ne vide alcun uso pratico perché era concentrato al miglioramento della lampadina.

L’uso pratico del diodo che conosciamo fu invece trovato da John Ambrose Fleming, uno scienziato e professore britannico presso l’University College di Londra che lavorava come consulente scientifico alla British Marconi Company e per la quale doveva risolvere il problema di rettificare un debole segnale radio ad alta frequenza (“alta” per l’epoca). Nel 1904, sfruttando l’effetto Edison ottenne il brevetto della “osclillation valve” che ebbe subito l’uso pratico di rivelatore di messaggi inviati con codice Morse. La chiamò “valvola” in ovvia analogia alla fluidotecnica, dato che il componente poteva essere paragonato ad una valvola (di ritegno) che fa passare liquido solo in una direzione. Fleming inizio una nuova area di studio nei circuiti elettrici. I suoi diodi sottovuoto non erano in grado di gestire grandi quantità di corrente, e quindi l’invenzione di Fleming è stata inutilizzabile per qualsiasi applicazione in alimentazione in AC, potendo essere impiegati solo per piccoli segnali elettrici.

Qui a fianco ecco lo schema elettrico (tratto da pag. 35 di [7]) di un ricevitore che impiega il diodo a vuoto come rivelatore per la radiofrequenza. E’ assai simile al RX a coherer (o a cristallo), solo che in questa nuova veste la rivelazione della RF è effettuata dalla “oscillation valve”. I ricevitori basati sulla valvola di Fleming come rivelatore erano molto sensibili e stabili (ovviamente in comparazione a quanto fino ad allora presente, cioè i rivelatori a coherer e a cristalli) e vennero impiagati sia nelle stazioni terrestri che navali. Rispetto ai rivelatori precedenti avevano il vantaggio che, con l’aumento della tensione di placca aumentava la corrente di placca -fino alla saturazione-, cioè proprio la corrente che serviva per attivare l’auricolare.

In parallelo a Fleming anche l’inventore americano Lee de Forest (1873 – 1961) era giunto a produrre dispositivi in tubo di vetro, che lui chiamò “Audion” e per il quale ottenne nel 1907 un brevetto come rivelatore. Lavorando a perfezionamenti del suo brevetto, De Forest

introdusse un terzo elettrodo, che chiamò “griglia”, inizialmente posto all’esterno del tubo. Tele modifica non portò evidenti risultati, ma quando de Forest pose il terzo elemento all’interno del tubo inserendolo tra filamento e placca, ottenne un componente che rivoluzionò il mondo delle comunicazioni senza fili. Tale nuovo componente ebbe il nome di “triodo”. Per la prima volta nella storia, un segnale radio ricevuto poteva essere amplificato, cioè irrobustito, per il suo trattamento. De Forest chiamò “Audion” questa sua invenzione del 1906.

E siamo arrivati, finalmente, all’obiettivo di questa rubrica: aver percorso a grandi salti alcune delle tappe della radio-storia che hanno portato all’era della moderna elettronica, alla capacità, cioè di amplificare una grandezza elettrica. Il triodo permetteva non solo di rivelare un segnale a radiofrequenza per poter estrarre l’informazione che vi è stata impressa, bensì anche di produrre in uscita un segnale elettrico con più energia di quello posto all’ingresso del circuito.

Il passo immediatamente successivo, sfruttando la capacità di amplificazione, fu quello di avere dei sistemi elettronici che potessero generare oscillazioni continue e costanti, e non discontinue e smorzate come quelle che i sistemi a scintilla potevano generare. 

Il significato dell’invenzione di De Forest è stato almeno duplice. In primo luogo, ha permesso il controllo sul flusso di elettroni tra il catodo e l’anodo del tubo, aprendo una nuova era alle comunicazioni elettroniche. In secondo luogo, questa invenzione ha ispirato e gettato il seme per ulteriori miglioramenti a un’intera categoria di tubi a vuoto e relativi dispositivi, tra cui il tubo a raggi catodici, il tubo a raggi X, il tubo fotomoltiplicatore e klystron.

Con il grafico qui rappresentato a lato si chiude questo LO SAI CHE: per me rappresenta l’inizio delle nuove invenzioni nel campo della tecnologia relativa al nostro hobby: dai primi trasmettitori a scintilla e dai “sordi” ricevitori a coherer, finalmente si poteva aprire la finestra degli RTX basati sui tubi a vuoto, a cui farà seguito l’era dei semiconduttori.

Riferimenti e bibliografia:

  • [1] il programma di esame per radioamatori è riportato nell’allegato n. 26, sub allegato D, del Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003); rif. https://ispettorati.mise.gov.it/index.php/servizi/radioamatori
  • [2] Microwave Journal www.microwavejournal.com/topics/3848-history-of-wireless
  • [3] Alessandro Orsi, “La telegrafia senza fili per quelli che sanno e per quelli che non sanno”, Roma 1924
  • [4] Ugo Guerra, “Elementi di telegrafia senza filo ad uso del dilettante”, Milano 1933
  • [5] Elmer Bucher, “The Wireless Experimenters Manual – How to conduct a radio club”, New York 1920
  • [6] Percy Harris, “Crystal Receivers for Broadcast Reception”, London 1922
  • [7] Elmer Bucher, “Vacuum Tubes in Wireless Communication – a practical textbook per operators and experimenters” , New York 1918
  • [8] Sakar, Mailloux, Oliner, Salazar-Palma, Sengupta, “History of Wireless”, New Jersey 2006
  • [9] Eugenio Gnesutta – “Le Radio Comunicazioni”, Milano 1924

Se a qualcuno interessasse avere i testi qui citati (in pdf) per approfondire l’argomento mi scriva.

TNX 73 de

Vitaliano
Author: Vitaliano

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