So che mi sto avventurando in un argomento potenzialmente difficile da intendere da parte degli “amatori della radio”, intendendo gli OM che hanno l’interesse per le radiotrasmissioni e la radiotecnica, mossi solo da una profonda passione che li ha spinti fino a superare esami tecnici pur senza avere mai intrapreso studi scientifici. …. Ci provo lo stesso!!
L’ “andar per campi” con le nostre radio in tempi di POTA EXPERIENCES è diventata una cosa ormai consueta: basta leggere le numerose relazioni sul nostro sito o gli scambi di info sulla MQC Chat. Ma qui voglio intendere qualcos’altro.
Quante volte nell’esercizio del nostro hobby abbiamo letto e parlato di campo elettrico, campo magnetico e campo elettromagnetico”? Ecco i “campi” di questa puntata della rubrica.
Ci siamo mai posti la domanda apparentemente semplice quale “a grandi linee, cos’è un ‘campo’ nell’ambito dei fenomeni elettrici”? È un dato di fatto che la comprensione del concetto di “campo” presuppone la conoscenza di altri concetti di fisica: insomma è un po’ come “il cane che si morde la coda” dato che, in assenza di basi di studio, le risposte possono generare nuove domande e così via. Necessariamente qui si daranno alcune definizioni che, con buona pace di tutti, vanno recepite senza farsi tanti legittimi “perché”, altrimenti si dovrebbe aprire un corso di fisica. Comunque, sempre aperti ad approfondimenti.
Iniziamo col dire che in fisica il concetto di “campo” indica l’insieme dei valori che una grandezza assume in ogni punto dello spazio. Quindi: “in una certa regione dello spazio esiste un campo se ad ogni punto si può associare il valore di una determinata grandezza fisica”. Ad esempio, si può parlare di “campo delle pressioni” se è possibile valutare il valore della pressione in ogni punto di una regione dello spazio.
I campi possono essere scalari o vettoriali.
Si dicono campi scalari quei campi caratterizzati in ogni punto dal valore assunto in quel punto da una grandezza scalare, cioè una grandezza che per essere determinata necessita solo del valore della sua intensità, eventualmente con il segno + o -. La pressione atmosferica è un esempio di grandezza scalare. Per rappresentare un campo scalare si congiungono tutti i punti in cui il campo ha uguale valore con delle curve. Nel caso della pressione, le curve isobare uniscono i punti che hanno la stessa pressione.
Si dicono campi vettoriali quei campi descritti da una grandezza vettoriale, che, per essere definita correttamente, richiede la definizione della direzione, del verso e ovviamente della intensità, ed è descritta quindi da un vettore. Il vento è una grandezza vettoriale: oltre all’intensità (modulo del vettore), è necessario conoscerne la direzione ed il verso. Per visualizzare un campo vettoriale si possono disegnare in vari punti dei vettori, ciascuno dei quali indica la direzione, l’intensità e il verso della grandezza in quel punto oppure si possono disegnare delle linee tangenti in ogni punto ai vettori e queste linee mostrano l’andamento del campo e si dispongono più fitte o più distanziate a seconda che il campo sia più intenso o più debole.
Nell’antichità, e fino ai tempi di Newton (siamo nella 2^ metà del ‘600, inizi ‘700), si pensava che per poter originare una forza che agisse su un corpo fosse necessario un contatto: una spinta, un urto, una trazione, ecc. La teoria gravitazionale sviluppata da Newton ha messo in crisi questo modo di pensare. Secondo tale teoria, infatti, i corpi possono interagire anche senza che tra di essi sia interposto un mezzo materiale che faccia da supporto alla propagazione della forza (così è, ad esempio, per la Terra e la Luna, per il Sole e la Terra, ecc.). È nata allora l’ipotesi dell’azione a distanza, da intendersi come un’azione istantanea che un oggetto può esercitare su un altro pur non essendo a contatto.
Però nell’Ottocento, essenzialmente con Faraday e Maxwell, in contrasto con questa ipotesi dell’interazione istantanea a distanza, prese piede il concetto di campo. Secondo la moderna teoria dei campi, l’interazione non è più intesa come un’azione istantanea, ma come un “effetto che si propaga nello spazio modificandolo”.
Proviamo a considerare una carica elettrica, o un sistema di cariche elettriche. Intanto, cos’è la carica elettrica? La possiamo definire come una proprietà della materia, di natura atomica, che ha la capacità di generare forze elettriche, attrattive o repulsive, nell’interazione tra corpi. Le cariche elettriche sono generate, microscopicamente, dagli elettroni e dai protoni presenti negli atomi. La moderna fisica quantistica ci farebbe andare più in profondità, ma soprassediamo! Notare che mentre la carica di per sé non la vediamo, però possiamo vedere gli effetti delle forze che essere generano.
La presenza di cariche elettriche, positive e/o negative, perturba lo spazio in cui si trovano. Tale perturbazione, viene detta campo elettrico, identificato dal simbolo “E” ed è una proprietà dello spazio. Tale perturbazione si può verificare constatando che ponendo una carica elettrica nella regione perturbata questa risulta soggetta ad una forza. Qualsiasi conduttore elettricamente carico produce un campo elettrico associato, che esiste per il solo fatto che vi sia una carica elettrica (attenzione che non si parla di cariche in movimento, bensì solo di presenza di carica elettrica). Il campo elettrico è un campo vettoriale, secondo la definizione appena introdotta.
Qui a lato possiamo vedere due rappresentazioni probabilmente già note: sono le linee di forza del campo elettrico radiale di una carica puntiforme, o da un sistema di cariche che sia però assimilabile a una carica puntiforme. Vediamo che sono semirette con origine sulla carica e verso uscente o entrante a seconda del segno della carica.
Considerando due cariche fra loro vicine, qui a lato possiamo vedere raffigurate le linee di forza del campo elettrico di due cariche puntiformi uguali e del campo elettrico di dipolo, cioè del sistema formato da due cariche uguali di valore ma opposte di segno.
Se consideriamo invece un sistema di cariche di valore +4Q e -Q (dove Q è l’unità di carica elettrica) possiamo vedere come la distribuzione delle linee di forza del campo elettrico abbia andamenti “particolari” nella regione “vicina” alle cariche elettriche, mentre a grande distanza rispetto alla distanza delle cariche abbia una distribuzione praticamente uguale a quella generata da una singola carica di valore +4Q-Q = +3Q
Un campo elettrico esiste a prescindere dal movimento di carica (cioè esiste in assenza di corrente elettrica).
Noi tutti abbiamo conoscenza dei materiali magnetici (le calamite) che hanno la capacità di modificare lo spazio circostante: essi creano un campo magnetico. Questo può essere visualizzato attraverso il noto esperimento della limatura di ferro posta su un foglio di carta al di sotto del quale vi è un magnete. Quelle che la limatura mette in evidenza sono le “linee del campo”. Anche il campo magnetico è un campo vettoriale. E’ rappresentato dal simbolo “H” anche se solitamente si preferisce far riferimento ad una grandezza correlata, la densità di flusso magnetico o induzione magnetica con simbolo ”B”.
Facciamo un passo oltre e consideriamo cariche elettriche in movimento (cioè consideriamo una corrente elettrica, che per sua definizione è appunto un movimento di cariche elettriche). Ebbene questa corrente elettrica perturba lo spazio circostante e crea proprio un campo magnetico. Tale perturbazione si può verificare constatando che ponendo un corpo magnetizzato (ad esempio un piccolo ago magnetizzato) nella regione perturbata, questo risulta soggetto ad una forza che lo fa muovere. Nella immagine a lato vi è l’esperimento del danese Oersted (1777-1851): la corrente che passa nel filo crea un campo magnetico che fa ruotare l’ago magnetizzato. Il campo crea quindi una forza. Le linee del campo magnetico sono circonferenze concentriche, disposte su piani perpendicolari al filo.
I campi magnetici, come i campi gravitazionali, non possono essere visti o toccati. Ad esempio, mentre possiamo sentire l’attrazione del campo gravitazionale della Terra su noi stessi e sugli oggetti intorno a noi, al contrario non sperimentiamo campi magnetici in modo così diretto. Conosciamo l’esistenza di campi magnetici per il loro effetto su oggetti come pezzi di metallo magnetizzati, rocce naturalmente magnetiche o magneti temporanei come bobine di rame che trasportano una corrente elettrica. l campo magnetico viene generato soltanto quando viene acceso un apparecchio elettrico e quindi scorre della corrente. La sua intensità dipende proporzionalmente dall’intensità della corrente elettrica. I campi magnetici sono più intensi in prossimità della sorgente e diminuiscono rapidamente all’aumentare della distanza, inoltre non sono schermati dai materiali comuni, come le pareti degli edifici.
Se avvolgiamo il filo per formare una spira circolare e facciamo scorrere della corrente si genererà un campo magnetico, le cui linee sono simmetriche rispetto all’asse passante per il centro della spira e perpendicolare al piano su cui essa giace. Se continuiamo ad avvolgere il filo e formiamo un solenoide, risulterà un campo magnetico uniforme e diretto lungo l’asse del solenoide.
Ormai è il momento di chiudere passeggiata per i campi. Come detto all’inizio non si possono mettere sul piatto tutti gli argomenti che servirebbero per rendere fisicamente comprensibile il discorso e serve quindi un salto, tralasciando cenni a vari concetti.
Se il nostro sistema di cariche varia nel tempo (di intensità e/o segno), esso genera un campo elettrico variabile nel tempo, il quale genera, in direzione perpendicolare a sé stesso, un campo magnetico, anch’esso variabile, che a sua volta influisce sul campo elettrico stesso.
Questi campi concatenati fra loro determinano nello spazio la propagazione di un campo elettromagnetico, indipendentemente dalle cariche e correnti elettriche che li hanno generati. È una delle interazioni fondamentali della fisica. In natura c’è una stretta relazione tra il campo magnetico e il campo elettrico, ogni variazione del primo genera una variazione dell’altro, e viceversa. Secondo le equazioni di Maxwell, un campo elettrico variabile induce un campo magnetico nello spazio circostante e un campo magnetico variabile induce un campo elettrico. Dalla combinazione dei due effetti nasce l’onda elettromagnetica che si propaga nello spazio trasportando energia anche dopo che la sorgente è stata spenta. L’onda ha una forma sinusoidale e non necessita di un supporto materiale. Nel vuoto le onde elettromagnetiche si spostano alla velocità della luce (circa 300.000 km/sec)
Il campo elettromagnetico è quindi un “viaggiatore” perché si propaga nello spazio nel quale interagisce con cariche elettriche e può manifestarsi anche in assenza di esse, trattandosi di un’entità fisica che può essere definita indipendentemente dalle sorgenti che l’hanno generata. In assenza di sorgenti il campo elettromagnetico è detto “onda elettromagnetica“, “onda” perché è un fenomeno ondulatorio che non richiede alcun supporto materiale per diffondersi nello spazio e che nel vuoto viaggia alla velocità della luce.
In prossimità della sorgente irradiante, cioè in condizioni di campo vicino, il campo elettrico ed il campo magnetico assumono rapporti variabili con la distanza e possono essere considerati separatamente, mentre ad una certa distanza, cioè in condizioni di campo lontano, il rapporto tra campo elettrico e campo magnetico rimane costante: in condizioni di campo lontano i due campi sono in fase, ortogonali tra loro e trasversali rispetto alla direzione di propagazione (onda elettromagnetica piana).
Per capire come faccia il campo elettromagnetico a propagarsi nello spazio, immaginiamo di tenere in movimento una carica Q, facendola oscillare molto rapidamente avanti e indietro tra due punti. Questo movimento dà origine a un campo elettrico e a un campo magnetico oscillanti perpendicolari, che si generano l’un l’altro:
per effetto del movimento di Q, in un punto P1 si genera un campo elettrico variabile;
questo, a sua volta, genera un campo magnetico variabile in un punto P2 spostato rispetto a P1;
ma il campo magnetico variabile in P2 crea un campo elettrico indotto in un altro punto P3.
In realtà, in P1 c’è anche un campo magnetico variabile, che genera in P2 un campo elettrico variabile, che genera in P3 un ulteriore campo magnetico. I campi elettrici e magnetici oscillano perpendicolari l’uno all’altro e si generano con continuità propagandosi sempre più lontano dalla carica che li ha creati all’inizio. Anche quando la carica smette di oscillare, essi continuano a generarsi l’un l’altro in punti sempre più distanti.
Le principali caratteristiche delle onde elettromagnetiche dipendono da una loro proprietà fondamentale: la frequenza f, ossia il numero di oscillazioni compiute in un secondo. Tale grandezza si misura in cicli al secondo o Hertz (Hz) e relativi multipli e sottomultipli. Strettamente connessa con la frequenza è la lunghezza d’onda λ, che è la distanza percorsa dall’onda durante un tempo di oscillazione e corrisponde alla distanza tra due massimi o due minimi dell’onda (l’unità di misura è il metro con relativi multipli e sottomultipli). Le due grandezze sono tra loro legate in maniera inversamente proporzionale attraverso la seguente relazione: f = v/λ dove v è la velocità di propagazione dell’onda, espressa in metri al secondo (m/s).
In estrema e banale sintesi: i nostri bei QSO, che non sono altro che onde elettromagnetiche che viaggiano nello spazio, sono figli di semplici cariche elettriche in movimento.
E qui ci fermiamo sperando che, giunti a questo punto, ci sia ancora qualcuno in ascolto!
Bibliografia:
- C. Romeni, “Fisica e realtà.blu”, vol. 2 e 3, ed. Zanichelli (il libro di testo per Liceo Scientifico della figlia!)
- Finn, “Foundamental University Physics”, vol. II, “Fields and Waves”, Inter European Editions, 1974
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